Qual è, in fondo, il messaggio più grande che tutto questo andare ci ha lasciato? Siamo ormai a tre quarti di questo viaggio ideale attraverso la natura dei Monti Simbruini, nel gelo di una notte di gennaio dove tutto appare più chiaro e cristallino, anche il senso di questo cammino si fa più tangibile.
Cosa ci ha spinto in tutti questi anni su e giù per le nostre montagne, con il pretesto di fermare in un’inquadratura un istante di bellezza? Quali parole han sussurrato i faggi accarezzati dalla brezza nell’attesa di innumerevoli albe? Quali il sole, a lungo inseguito sui crinali e afferrato prima che ogni volta morisse?
Le infinite sfumature di verde del bosco, la neve che si scioglie al sole all’ingresso di una grotta, il canto notturno dell’allocco, il volteggiare dell’aquila sulle rupi, il passo furtivo del lupo, l’eco metallico dei corvi sull’orlo di un abisso, il fiore che riemerge come gemma da uno scrigno sepolto, il cielo che si tinge di rosso in una notte di primavera: ogni cosa col suo tempo ci ha condotto a trovare un nuovo posto nel mondo.
E’ il riappropriarsi dei tempi e dei modi della natura, riconoscere che come in alto, così è in basso, che il piccolo partecipa del grande e nel grande si sublima il piccolo, che di questa fitta trama di infinite relazioni che legano il cielo e la terra non siamo un casuale accidente ma la più alta sintesi, cui è stato affidato l’onore e l’onere di svelare e custodire un tesoro nascosto.
Nel gelo di una notte di gennaio, stupiti e immobili al cospetto di un cielo di diamante, nel silenzio di distese di neve imbiancata dalla luna, tutto appare più chiaro se hai imparato a leggere i segni.