La faggeta spoglia e silenziosa d’improvviso in questi giorni pare di colpo riprendere vita, l’inverno oramai volge al termine e la primavera si fa annusare sempre più intensa nell’aria; un sussulto che si manifesta in maniera diffusa e direttamente visibile attraverso le prime fioriture che iniziano a punteggiare la lettiera quasi ovunque ma che in alcuni particolari angoli si palesa anche per il tramite di altri messaggeri. Sono i rospi che con il loro gracidare incessante e concitato proprio in questo periodo dell’anno si radunano attorno alle poche pozze d’acqua che la montagna calcarea offre per la stagione riproduttiva.
È uno dei primi eventi che per noi, sui Monti Simbruini, simbolicamente segnano l’arrivo della nuova stagione, la primavera, il tempo della rinascita e dell’abbondanza; uno di quei momenti che arrivano con prorompente forza a spezzare il lungo, immobile e silenzioso torpore invernale.
La sfida che si accende tra i maschi per cercare di arrivare a fecondare le uova deposte dalle femmine è, ancora una volta, quasi commovente, nonostante il suo confuso e disordinato svolgersi. Un trambusto di gracidii e salti che segna lo scorrere del tempo attorno e dentro le pozze per pochi ma intensi giorni, poi tutto tornerà nel silenzio, con i rospi che affideranno le uova fecondate, il loro futuro, alla resilienza di questi piccoli specchi d’acqua nel corso dei mesi successivi, che si attendono via via sempre più caldi ed asciutti.
Sul finire di uno di questi giorni, dopo aver faticosamente adempito al proprio compito, un maschio di rospo, prima di tornare a perdersi negli anfratti nascosti del bosco, pare soffermarsi in attimo di meritata pace a godere della calda luce del sole, una luce che brilla ora forte e nitida, ribadendo il ritorno oramai imminente di un tempo nuovo, il tempo della vita.