Le abbondanti nevicate in vista del fine settimana erano un’occasione troppo ghiotta per tornare là dove mancavamo forse da troppo tempo. Il tragitto in auto – ancora nel cuore di una notte indecisa a svanire -ci restituisce tutto il fascino degli antichi boschi, ora completamente ammantati di neve, chini sotto pesanti cappucci lucenti alla luce della luna, come umili servitori ai piedi del bianco gigante addormentato.
Meno poetica, la salita a piedi nel pieno del carnevale sciistico è come sempre una corsa contro il tempo ripagata solo dalla dolcezza del bagliore dell’alba che occhieggia ad oriente e dalla vista delle corone di re, regine e gran dignitari dell’Appennino maggiore, che pian piano si aprono alla vista nel cielo delicatamente aranciato.
Poi, raggiunto l’anti-crinale, la vista si spalanca finalmente su un grandioso paesaggio canadese di boschi a perdita d’occhio: lontani, i rilievi più a nord cominciano a tingersi di rosso, in netto contrasto col blu minerale delle valli ancora immerse nell’ombra.
Una linea immaginaria scende dai rilievi a occidente, attraversa i grandi pianori ancora immersi nella nebbie e si spinge a est, verso la frontiera: trent’anni fa la prima avventura in quelle terre – per me – ancora vergini, la prima esperienza dell’immersione e dell’isolamento nel silenzio dei grandi boschi, accompagnata dall’apprensione delle notti di primavera in tenda che sembravano interminabili.
Tutto era nuovo e inesplorato, tutto da immaginare e costruire nel cuore di giovani esploratori. Dalle alture la vista spaziava verso l’Appennino interno, pensato come una inespugnabile Agartha, sognata e agognata. E in quel turbine di emozioni andava prendendo forma quel legame ineffabile che mi stringe ancora oggi. Venne pure il tempo dell’Appennino maggiore, quello dei 2000m e dei valloni interminabili, dei ghiaioni e delle aride praterie di alta quota, ma il cuore in fondo è rimasto sempre qui tra questi boschi.
Così, vent’anni dopo, è stato il tempo di un’esplorazione più meditata, mediata dalla testa più che dal cuore, ma non meno carica di ricordi ed emozioni: quasi le rivivo tutte volgendo lo sguardo intorno a me, sulle cime lontane, sotto ombrose pareti di rocce, nei profondi valloni o nei crinali che sembrano correre ininterrotti da nord a sud. Un decennio di avventure finite tra le pagine di un libro e accompagnate da migliaia di immagini affidate alla memoria del cyberspazio, come testimonianza d’amore incondizionato verso queste terre generose.
E poi c’abbiamo provato ancora a fuggire verso altre montagne lontane, ma alla fine di tutto …
Come dalle crociate a un futile
Sopravvissuto a tutto
Che ritorna più utile che vivo
Quindi innamorato ancora
E torna, torna
Lei gli ha detto: “Torna”
Ed era una bambina, finalmente
E gli diceva: “Torna
Abbiamo un solo limite
L’amore che ci divide”