Sono trascorsi esattamente quattro anni da quando, all’inizio dell’estate del 2020, decisi di dedicarmi con una certa assiduità alla ricerca di quella che senza ombra di dubbio può essere definita come l’orchidea spontanea più rara e localizzata tra tutte quelle presenti sui Monti Simbruini, la Nigritella widderi. In verità, tale limitata diffusione vale in assoluto per tutta la penisola italiana, dove questa specie è presente in maniera subendemica con due principali popolazioni disgiunte tra loro, una diffusa in alcune aree del settore orientale dell’arco alpino e solo di più recente rinvenimento, l’altra, storica e più estesa, diffusa dai Sibillini ai Monti della Meta.
La scintilla per arrivare a fotografarla era scoccata poco tempo prima quando, studiando su alcuni libri specifici, mi era caduto l’occhio su questa particolare rarità, apprendendo proprio in tale circostanza che almeno una delle colonie note per l’Appennino centrale era presente nell’area dei Monti Simbruini-Ernici. Ovviamente questo non poteva non tradursi, da lì a breve, nell’inizio di una nuova spasmodica ricerca sul campo, una ricerca volta ad arrivare a toccare con mano quell’ennesimo tassello dell’incredibile biodiversità propria delle montagne di casa e, forse, proprio per quest’ultimo particolare aspetto ancor più straordinariamente affascinante.
Senza nessuna indicazione diretta, con le poche sommarie informazioni a disposizione recuperate sul web, iniziai così una nuova ed avvincente parentesi tra i miei monti. Le variabili in gioco, per quanto avessi ristretto man mano il cerchio, restavano comunque numerose e le speranze di riuscire a rintracciare questa particolare presenza prima che fosse passato il suo tempo nel corso dell’estate si facevano ad ogni uscita più flebili; dopo tutto parliamo di una pianta alta al massimo 10-15 cm, tutt’altro che sfarzosa nelle forme, capace di nascondersi assai bene tra le rigogliose praterie estive d’alta quota. Battere quei vasti pendi sommitali palmo per palmo aveva tutto il sapore della classica ricerca “dell’ago nel pagliaio” eppure finalmente arrivò il giorno che ripagò le tante fatiche profuse fino a quel momento. È indescrivibile a parole la gioia che si prova nel rinvenire finalmente questi piccoli tesori dopo aver dedicato ad essi così tanto amorevole impegno, certamente non la stessa cosa che esserci condotti al cospetto per mano da chi già sa.
Nel frattempo, dopo essermi ripreso dall’euforia del rinvenimento, quel pomeriggio provai subito a scattare qualche prima foto ai piccoli e sparuti esemplari che avevo davanti ma era quasi buio e la luce del seppur lungo giorno d’estate oramai stava scemando del tutto, mi affrettai quindi a riscendere verso valle, di strada ce n’era abbastanza da percorrere, ripromettendomi di tornare il giorno seguente. E così fu.
Il pomeriggio successivo, carico di entusiasmo, superai di gran slancio i km ed i metri di dislivello che mi separavano dalle piccole Nigritelle ed eccomi dopo un paio d’ore di cammino di nuovo al loro cospetto. Le ritrovai in fretta quella volta, impossibile dimenticare i punti di riferimento che avevo preso sul campo il giorno precedente, peccato che nel frattempo un improvviso e compatto fronte nuvoloso avanzava veloce ed inesorabile da ovest nella mia direzione, forti tuoni squarciavano ripetutamente il fruscio del vento che sospingeva veloci le nuvole verso i crinali sommitali sui quali mi trovavo. Non era il caso di restare ancora a lungo in tale luogo così esposto e così, di nuovo, le Nigritelle avrebbero dovuto attendere. La rapida discesa verso valle mi permise di arrivare al riparo dell’auto giusto in tempo sotto le prime gocce che in breve si sarebbero tramutate nel più classico e fragoroso dei temporali estivi. A quel punto sembrava quasi esserci una maledizione ad impedirmi di fotografare la timida e minuta Nigritella, nonostante la parte forse più complicata, il tanto sospirato rinvenimento sul campo, fosse stato compiuto.
Passarono ancora altri giorni prima di riuscire di nuovo a trovare del tempo libero per tornare lassù, ma quando ciò avvenne finalmente tutto era al suo posto: le Nigritelle, seppur avviandosi verso la loro fase finale della fioritura, erano ancora belle turgide e colorate, il cielo era sgombro da nubi e foschie. Non mi restava che trovare un’inquadratura capace di rendergli giustizia ed aspettare la carezza di quell’ultima, vivida ed al contempo delicata, luce del giorno, attimi in cui le tinte rosee del cielo sembrano fare da eco ai colori dei petali di quella che, forse, è davvero la nostra regina di fiori!
Ancora oggi, a distanza di anni, ricordo con particolare nitidezza e nostalgia quei giorni spesi nella ricerca e nella fotografia di questo fiore così raro e prezioso, così come le emozioni che ne sono conseguite. Se me ne domando il motivo, la risposta forse la ritrovo nel perché tutto ciò non è stato altro che un’ennesima tangibile dimostrazione di quanto siano ricche ma al contempo fragili nei loro peculiari ecosistemi le nostre montagne. Chissà, continuo a chiedermi, se in tutti noi schioccasse prima o poi la scintilla dell’amore nei confronti della Nigritella (ma non solo, ovviamente, voglio in questo caso solo usarla a pretesto), quello stesso amore che per giorni mi ha condotto per mano sui crinali più alti dei Monti Simbruini alla ricerca di una chimera, alle nostre montagne potrà forse essere finalmente riservato un futuro più sereno e rispettoso?