L’altopiano di Camposecco in un’alba di Settembre, dopo un copioso temporale notturno, torna decisamente solitario e selvaggio, quasi mistico, avvolto in pesanti coltri di vapore che emanano dalla terra impregnata di pioggia.
L’odore pungente di erba e foglie bagnate rievoca ricordi di tanti finali d’estate trascorsi quassù, in attesa che la montagna indossasse nuovamente la sua veste più austera e solitaria, più autentica nella sua sottile malinconia che è nostalgia di una dimensione inafferrabile che tra queste pieghe di terra riecheggia e richiama.
Qui ho conosciuto l’Appennino autentico, quello dei nostri avi, quello che ricorda ancora segni e nomi dei tempi che furono: crocevia di bestie, uomini e dei. Il passo lento dei pastori, le braccia operose dei carbonari, il piccolo gesto di devozione di un pellegrino, la corsa furtiva di un lupo, il galoppo dei cavalli bradi, il volo gracchiante di una cornacchia, nel silenzio del cielo.
Laggiù il Faggio dell’Abate rammenta di quando questa terra era nei possedimenti dei benedettini, più oltre – alla Femmina Morta – riecheggiano antiche leggende ricorrenti in molte parti dell’Appennino e non per questo inverosimili, se rapportate alla durezza dei tempi passati per chi queste terre ha sempre abitato. Salendo all’Autore il Pozzo del Gelo conservava forse la neve dell’inverno e scendendo poi per il Fosso dei Volatri … chi si è chiesto mai cosa sono?
In un tempo in cui tutto esiste solo se può essere “instagrammato” questa storia minore sembra ormai destinata all’oblio. Anche i toponimi devono lasciare il passo a nomi ad effetto: il laghetto caraibico o il villaggio di Trinità (che se non altro sarebbe ancora storia). Tutto deve essere pubblicizzato, servito e consumato nel più breve tempo possibile, un luogo in più da aggiungere a una collezione lunga e colorata, quanto altrettanto insignificante.
Mentre il sole si alza a oriente, seduto a cavallo di un’altura, rifletto sulla fortuna di aver vissuto l’ultima montagna dei montanari. Memoria che si va dissolvendo lentamente come i vapori sull’altopiano, sostituita ormai dalla montagna degli influencer, dei consumatori mordi e fuggi che mai conosceranno il passo lento che rammenta ogni sasso, il respiro profondo che nell’odore di terra e legna tagliata rinviene tutta la storia di questa terra e il suo senso profondo e immutabile.