C’è un tema sfiorato più volte – in questi brevi testi e nel libro – che riguarda gli aspetti più profondi del rapporto con questa terra e che trova nella scrittura un modo di esplicarsi e apparire di volta in volta con maggiore chiarezza. Ora sotto gli auspici del cielo in Scorpione e con l’approssimarsi di ricorrenze che ci ricordano del nostro rapporto col mondo dell’invisibile è forse il momento più opportuno per aggiungere un altro tassello alla storia.
Riguarda il fascino sottile che questa terra esercita in determinate persone che hanno la capacità di percepirlo e che si manifesta in misura maggiore ogni volta che da questa terra ci si separa temporaneamente per vivere esperienze in altri luoghi di montagna. Ci sono tanti luoghi dell’Appennino che possono travolgere per la bellezza austera, la dimensione o il senso di maestosità, tuttavia rimangono spesso un qualcosa di esteriore che si limita a manifestarsi nella sfera puramente estetica. Sui Simbruini è diverso, è come se questa terra avesse un cuore e nutrisse un costante dialogo con chi la attraversa e ha la sensibilità per coglierne il linguaggio.
E’ una terra per molti versi avvolta nel mistero, mai completamente conoscibile, fosse solo per la sua orografia tormentanta e per l’estensione della sua copertura boschiva, dove pur tuttavia è raro sentirsi perduto o fuori posto. In ogni angolo ti accoglie come se ti conoscesse, come se fosse la tua casa. E costantemente ti inonda di una sua sorta di grazia, di benedizione, come a un pellegrino che entra in una cattedrale.
E’ sicuramente un punto di vista molto soggettivo, ma nel tempo ho avuto modo di condividerlo con diverse persone che hanno avuto modo di percepire la stessa influenza. Molto dipende dalla familiarità e dallo stratificarsi di memorie generazionali, ma c’è qualcosa che va oltre e che può essere spiegato solo ricorrendo alla categoria dell’immateriale.
Non voglio parlare di spiriti o divinità, perché sono termini che nella cultura odierna vengono sistematicamente fraintesi e inconsapevolmente rifiutati, si potrebbe piuttosto definire questa particolare fascinazione come effetto di una forza o di un campo di forze, che sprigionano da determinati luoghi di potere. Volgendo lo sguardo alle civiltà tradizionali, qualcosa di simile potrebbe essere il Genius loci dei Romani o – nella tradizione indiana – il Lokapāla, il protettore di un mondo che dimora in un luogo e lo custodisce.
Sicuramente è questo viluppo di forze invisibili che ha attratto qui, nelle epoche passate, i numerosi santi, eremiti e anacoreti che hanno popolato la montagna: affinati nella percezione dalla pratica contemplativa ne hanno riconosciuto il richiamo e hanno saputo dialogare con la dimensione sacra di questi luoghi, contribuendo a custodirli o addirittura a crearne di nuovi con la loro stessa presenza.
La benevolenza di questi protettori non è scontata, ma va alimentata dal costante mutuo riconoscimento e rispetto. Nelle società antiche questo era compito dei culti e dei riti, consuetudini che nella nostra civiltà – che ha perso quasi del tutto il senso del sacro – sono andate quasi del tutto sparendo, fatto salvo quello che in qualche modo è stato riversato e sopravvive nella pratica religiosa cristiana. E’ il caso ad esempio delle tante piccole testimonianze di fede legate al culto e al pellegrinaggio verso il Santuario della Trinità, sparse su tutto il territorio: seppur trasmutate, sono simbolo di questo patto tra l’uomo e queste forze; un patto che esige rispetto da un lato e assicura protezione dall’altro.
Per questo ho totale disprezzo per le crociate iconoclaste contro i simboli di fede in montagna, che negli ultimi anni hanno riscosso tanto successo nell’opinione pubblica ma che dimostrano di ignorare completamente questa dimensione di patto, di cultuazione trasfigurata che lega i nostri avi alla terra in cui hanno vissuto e prosperato, e che pur non gli apparteneva.
Spetta ora a noi rinnovare e custodire questo patto, aprendo il cuore a queste forze rinnovando la nostra promessa di rispetto e guadagnandoci la loro benevolenza. Ma non avverrà certo in mezzo alle folle vocianti e sorde a cui sono stati dati in pasto tanti angoli di questa terra sacra, quanto piuttosto nei territori al limite fra due mondi, come i piccoli borghi che guardano la montagna e con essa dialogano necessariamente da sempre, per trovare una forma di equilibrio.
Proprio là dove una piccola chiesetta immersa nel bosco segna l’ultimo avamposto dell’Uomo di fronte al mistero della Natura.