Ho già avuto modo di osservare in precedenza come l’ultima parte dell’Autunno avvenga nel segno del fuoco, ma che c’entra il fuoco con i primi rigori dell’inverno che verrà, le prime spolverate di neve le albe e i tramonti sotto zero?
In verità non c’è nulla di ciò che ci appare nel mondo naturale che non sia il prodotto della danza invisibile degli elementi: sappiamo tutti riconoscerne con facilità la manifestazione più grossolana, ma solo col tempo passato in natura e un lento affinamento della percezione si impara ad apprezzarne l’invisibile danza in ogni aspetto che la natura ci presenta.
Nel corso del ciclo naturale annuale c’è un primo fuoco – anch’esso nascosto – che sostiene l’arrivo della Primavera, scioglie la rigidità dell’inverno e risveglia la vita pulsante nelle cose. Poi c’è il fuoco manifesto dell’estate, quello prorompente del solleone che brucia e trasforma. Il terzo fuoco è di altro tipo ancora: etereo, impercettibile, ha il compito di concentrare e sublimare.
Deve preparare la terra al lungo sonno, quindi distilla la vita in essenza preziosa, riseva necessaria ad affrontare il rigore dell’inverno: lo vedi brillare nel rosso delle bacche del biancospino e della rosa canina, nelle piccole gemme che già adornano le chiome dei faggi, nel pelo fulvo e voluminoso di una volpe solitaria, nel tappeto di foglie cadute che lentamente ritorna alla terra.
Poi porta con sé un carattere sublime, un richiamo che è anche una promessa per il suo ritorno. Lo potete percepire camminando in un limpido mattino nella faggeta spoglia, quando il sole ancora basso all’orizzonte si affaccia tra quinte di fusti, trafiggendo l’aria cristallina come a volerla sciogliere. E’ quella stessa luce – fateci caso – che tornerà tra qualche mese a svegliare la terra, a scaldare le valli fumanti di brume, a brillare sui ciuffi di bucaneve bagnati di rugiada.
E ancora, alla sera, tornando verso cassa sotto il cielo elettrico del crepuscolo, l’ultimo fuoco vi appare come radianza eterea, sovrumana, inafferrabile. Come onda avvolge e scalda un’ultima volta la terra porgendo il suo saluto finale, che è insieme fiducia del ritorno.