I giorni di Gennaio appartengono a Saturno, lunghi come le ombre gettate come lance dal sole pomeridiano, lenti e muti. Giorni di terra, pesanti e intorpiditi: risuonano nelle tonalità delle erbe scolorite, delle foglie seccate a terra, delle chiome brunite dei faggi e delle rocce che sembrano schegge di cielo cadute. E’ un tempo sospeso, di stasi e paralisi che sembra transito necessario fra due opposti versanti dell’anno.
E’ Saturno che trattiene il passo e lo appesantisce, ci convince a sostare più che camminare, proprio lì ai margini del bosco, per lasciarsi accarezzare dalla luce trasversale del pomeriggio, in un’aria senza tempo ove risuona solo l’eco lontano dei corvi: in fondo ci chiede solo di fermarci e dischiudere il cuore a un istante di eternità in quel tempo naufragato.
Così nel vuoto creato da questa attesa irrompe all’improvviso un segno tangibile della sua presenza, un messaggero. Creatura che della terra sembra essere figlia, pesante – quasi minerale – possente quanto sgraziata: un’istrice risale lentamente al margine del bosco, attratta anche lei dal tepore dell’ultima luce pomeridiana.
Non potrebbe esservi sintesi migliore del carattere di questo tempo sui Monti Simbruini. Da un lato all’altro della piccola collina restiamo entrambi assorti nel contemplare il momento solenne.