È una fredda mattina di Febbraio, il paesaggio innevato stretto nella morsa dell’inverno, la luce fioca del primo mattino si irradia timida nella faggeta spoglia ed immobile; il percorso lo stesso che battiamo da tempo per giungere in cima ai punti di osservazione migliori per poter ammirare la coppia di aquila reale della zona, impegnata proprio in questi giorni negli spettacolari voli nuziali. Insomma, tutto nella consuetudine del periodo.
All’arrivo sulla prima grande radura però qualcosa di insolito colpisce subito la nostra attenzione: una marcata pista di impronte nella neve spacca a metà quel candido specchio bianco circondato dai faggi, non sono però le solite impronte di cervo o di capriolo, ne tantomeno la classica pista dei lupi. Io e Francesco ci guardiamo in faccia quasi increduli, non ce lo diciamo ad alta voce, ma sappiamo già entrambi il pensiero dell’altro. Pochi altri frenetici passi in direzione della traccia e anche gli ultimi dubbi vengono meno, definitivamente.
Da poco, al massimo qualche ora, un orso bruno marsicano, probabilmente un giovane maschio in dispersione, ha preceduto i nostri passi nel cuore dei Monti Simbruini! Quasi come sospesi in un limbo tra sogno e realtà, continuiamo a guardare e riguardare quelle impronte pesanti impresse nella neve, increduli ci giriamo intorno, le osserviamo da ogni angolazione ed allo stesso tempo, di tanto in tanto, alziamo lo sguardo puntando verso il fitto del bosco circostante, nella speranza che di colpo l’animale, tornando sui suoi passi, ci appaia finalmente davanti. Non sarà così, ma poco importa.
Che ciclicamente qualche esemplare sia di passaggio per questi monti è cosa risaputa, è sempre stato così, l’orso, nonostante la repressione attuata dall’uomo nel corso dei secoli nei suoi confronti, non ha mai abbandonato del tutto i Simbruini, un tempo suo naturale territorio (di questo ne portano memoria persino alcuni toponimi della zona), ma certo avere ora davanti agli occhi il segno tangibile della sua presenza è un qualcosa di straordinariamente raro e prezioso. Un dono, ci piace pensare, che la natura di queste montagne ha voluto farci per ripagare il nostro incondizionato amore nei suoi confronti; certamente qualcosa capace di risvegliare dal profondo dell’animo emozioni uniche, che forse mai si avrà la possibilità di vivere di nuovo in questo contesto specifico.
Dove sarà ora quel giovane orso? Ogni tanto torno a pensarci. Quale sarà stato da il in avanti il suo cammino? Sarà riuscito a stabilirsi al sicuro in qualche remoto angolo dell’Appennino, tenendo così viva per tutti noi la fiamma della speranza per la sopravvivenza di questa straordinaria specie? Oppure sarà stato uno dei tanti, troppi orsi che ogni anno purtroppo nel loro peregrinare restano vittime (dirette o indirette) della nostra meschina mano? Chissà.
Nel nostro cuore la viva speranza che quella traccia di impronte nella neve sia stata quanto più lunga possibile; e che magari domani possa tornare a sussurrare ancora a qualcuno dell’indomito – per quanto oltraggiato – spirito selvaggio dell’Appennino.