Una profonda convinzione ha sempre sostenuto la nostra attività di ricerca e documentazione del territorio, a volte anche a costo di essere tacciati di ottuso provincialismo: l’idea che non sia necessario correre in capo al mondo o sognare la Nuovissima Zelanda, ma semplicemente iniziare guardando intorno a noi, nel territorio naturale più prossimo ai luoghi che viviamo ogni giorno, dove ancora è possibile trovare piacevoli sorprese e vivere altrettante avventure all’insegna della ricerca e della scoperta.
Lo abbiamo provato a noi stessi tante volte, rinvenendo con entusiasmo le specie rare o poco conosciute del territorio dei Simbruini o trovandoci improvvisamente immersi in un paesaggio di sconvolgente, inattesa bellezza. Ma certo mai avremmo potuto immaginare, dopo oltre dieci anni di attività, quello di cui saremmo stati testimoni quella notte di Maggio.
In verità l’amico Paolo – sempre attento agli imperscrutabili misteri del cielo – ci aveva messo in allerta già dal mattino circa l’eventualità di un fenomeno che avrebbe potuto manifestarsi con maggior probabilità alle soglie del nuovo giorno, ma ci sembrava sinceramente qualcosa di impensabile, così remoto da non giustificare lo sforzo necessario a trascorrere un’intera notte all’aperto.
Eppure quella sera, poco dopo cena, mentre l’orizzonte iniziava a tingersi di rosso, abbiamo voluto credere che qualcosa stesse davvero per succedere. Qualcosa ci ha detto che era il momento di muoversi senza fare altre domande: organizzarsi è stato un attimo, così come correre ancora una volta verso i nostri amati monti, nel cuore della notte.
Raggiunti in fretta i crinali in quota più accessibili, tutto sembrava ormai essersi già spento nell’oscurità di un cielo adamantino, punteggiato di una miriade di stelle, senz’altro più invernale che primaverile. Eppure l’occhio minerale delle fotocamere sembrava captare ancora una diffusa radiazione rossastra sul fondo del cielo, c’era ancora speranza?
Il tempo di provare qualche inquadratura su e giù e poi d’improvviso un’esplosione di bagliori, come da altre dimensioni del tempo e dello spazio: pilastri di diafana luce rosso-violetta fasciati di tenui festoni verdognoli iniziavano a danzare davanti ai nostri occhi. Una sensazione inaspettata, mai provata, come di essere di fronte a uno spettacolo sovrannaturale. Quel paesaggio così familiare, che tante volte aveva accompagnato i nostri passi, improvvisamente si faceva teatro di una manifestazione eterea, inafferrabile, a momenti incomprensibile.
Non basterebbero le parole per descrivere lo spettacolo, così diverso da qualsiasi cosa potevamo aver visto in tanti anni su queste montagne: era come se lo spazio vuoto intorno a noi si fosse contratto, condensato in un organismo pulsante di energia, un’onda di luce e di vita che abbracciava l’orizzonte, scendendo come un rosso velame sulle pietre stanche dell’Appennino. Era lì per noi, parlava direttamente ai nostri cuori nel silenzio profondo della notte.
Così per ore abbiamo continuato a volteggiare su e giù per i crinali, presi per mano da quelle volubili frange di luce, messaggere di mondi inaccessibili, danzando affascinati da quella magia nella profonda, rossa notte. Ciascuno custodendo per sé il suo silenzioso messaggio.
Monte Autore, 10/11 Maggio 2024 – fotografie di Daniele Frigida e Francesco Ferreri