Pomeriggio d’estate apparentemente uguale a tanti altri, immersi nel silenzio, in attesa, ai piedi del grande faggio. Un’altra torrida giornata sembra avviarsi lentamente alla conclusione, mentre il sole ancora relativamente alto sull’orizzonte filtra tra le scure quinte dei faggi.
Nella luce dorata che penetra nell’oscurità del sottobosco una impercettibile sfumatura, una rottura che solo chi ha vissuto questo passaggio tante volte riesce a riconoscere. Il regime del fuoco, giunto al suo culmine, è pronto a lasciare la presa.
La luce ne è testimone ed evoca già il clamore dei primi temporali, l’odore della terra arsa che torna a bagnarsi, il senso di una tregua tanto agognata che dona nuovo respiro alla terra sofferente. Silenzio che come le prime nebbie cala su boschi e sulle valli, vestendoli di rinnovato mistero
Presto le luci di Orione faranno la loro comparsa all’orizzonte, nella luce fioca dell’alba, annunciando il giro di boa: uno dei tanti passaggi che scandiscono lo scorrere del tempo sulla montagna, forse il più struggente per chi sa cogliere – nel pieno divampare del fuoco estivo – i segni di un nuovo ciclo.
E’ il preludio del lungo cammino verso il sonno invernale: un tempo di solitudine e raccoglimento, di ritorno alla terra in cerca di un nuovo equilibrio. Attesa e promessa insieme, mentre il sole si spegne definitivamente dietro i rilievi lontani.