Settembre, l’ultimo mese d’estate. L’aria finalmente fresca e carica di umidità già allude al cambiamento, il ciclo della stagione calda sta man mano volgendo al suo epilogo, in montagna prima che altrove. Un cambiamento che in maniera particolare nella faggeta, attraverso tante piccole ma ineluttabili vibrazioni, si fa sempre più nitido. Le prime foglie iniziano a perdere il loro intenso colore verde per lasciar spazio a sfumature via via sempre più calde, la pioggia di nuovo frequente diffonde nella foresta quel tipico ed acre odore di humus, il primo spicchio crescente della luna del raccolto fa capolino alla sera tra le fronde dei faggi.
Ci sono poi loro, i ciclamini (Cyclamen hederifolium), tra i più vivaci e palesi messaggeri della fine dell’estate, minuti eppure così appariscenti tra l’arancio ruggine e monotono del sottobosco di foglie secche. Impossibile non notare le loro colonie tappezzanti. Tra le tante specie che nei mesi si avvicendano nel fiorire ai piedi dei cinerei fusti di faggio, i ciclamini sono l’ultimo omaggio floreale che il bosco ci offre, il canto del cigno della vita che prende forma dalla lettiera. Forse uno dei segni più diretti del grande ciclo vitale che dopo essere andato in scena per un’ennesima volta tra la primavera e l’estate sta oramai di nuovo per compiersi, lasciando poi presto spazio al tempo del riposo.