Dopo anni di assidua ed appassionata frequentazione di questo territorio, quasi sempre spingendoci fino nei sui più reconditi anfratti alla ricerca delle manifestazioni meno comuni ma allo stesso tempo forse più caratteristiche, possiamo oggi considerarcene certamente dei profondi conoscitori. Un fatto questo che tuttavia non abbiamo assolutamente intenzione di proporre come il protagonista di queste poche righe di condivisione settimanale, né tantomeno come chissà quale vanto da sbandierare (anzi, di questo nostro intimo legame con i Simbruini, costruito negli anni con dedizione e pazienza, ci piace custodirne piuttosto gelosamente i segreti); la riflessione che vogliamo quindi proporre è in realtà sul come, o meglio tramite quale strumento, siamo arrivati nel tempo a costruire questo nostro profondo rapporto con il territorio di casa e cosa abbiamo realmente tratto da esso. Uno strumento che molto probabilmente è abbastanza chiaro ed esplicito a chi già ci conosce ma che comunque vale la pena raccontare un po’ più nel dettaglio da quello che è il nostro personale punto di vista.
Parliamo della fotografia ovviamente, quella stessa fotografia di natura che per molti nel tempo non è diventata altro che un mero fine (dalle più disparate velleità) ma che per noi ha invece da sempre rappresentato il mezzo tramite il quale, in sintesi, poter scoprire e comprendere sempre più a fondo la vera anima di queste nostre montagne (ed in alcuni casi anche di noi stessi). Trattandosi appunto solo di un tramite, al suo posto avremmo probabilmente potuto usare nel frattempo altri modi per giungere al medesimo obiettivo, ma la fotografia durante il nostro percorso di scoperta e conoscenza si è rivelata una così completa ed entusiasmante compagna di viaggio che ad un certo punto senza di essa il viaggio stesso avrebbe perso di slancio e forse anche di significato. Certo, nulla è mai gratuito o scontato, non lo è stato nemmeno il nostro lungo itinere alla ricerca di immagini, ma come sempre è nelle cose attese, sofferte e strenuamente volute che nella vita si celano alla fine le più grandi gioie personali e non poteva non essere così anche in questo caso.
Grazie alla continua voglia di rintracciare e ritrarre scorci paesaggistici sempre nuovi ed inediti ad esempio possiamo dire senza esagerazione di esserci arrampicati su quasi ogni cima, picco o roccia di queste montagne, ed è anche per questo se oggi le sentiamo così nostre. È stato grazie al desiderio indomabile di immortalare lo sguardo magnetico del lupo o il volo solenne dell’aquila che, dopo infinite giornate di studi ed appostamenti, abbiamo potuto provare l’emozione del “selvaggio”. È stato grazie alla sempre rinnovata voglia di rendere eterno un attimo dalla bellezza effimera che ci siamo ritrovati dispersi nelle atmosfere più spettacolari, scoprendo un volto del tutto inedito e fino ad allora del tutto inatteso di queste montagne. Ma non solo.
In questo tempo la fotografia ci ha portato inoltre in dote anche altri doni, forse i più preziosi di tutti, ripagando così a pieno la nostra grande dedizione e dando senso ulteriore al nostro lungo viaggio attraverso i Monti Simbruini. È sempre grazie alla fotografia in natura che abbiamo infatti potuto costantemente tenere vivi il contatto con gli elementi, il rapporto diretto con l’autentico e l’essenziale, la percezione dello scorrere delle stagioni, la comprensione dell’ordine delle cose. Tutti aspetti fondamentali per ricondurre al giusto equilibrio il nostro essere ma che lontano dai contesti di autentica natura sono oramai impossibili da ritrovare.
Infondo, ritornando per un attimo all’immagine di copertina, non è grazie alla fotografia, nella ricerca della migliore inquadratura di questo vecchio faggio, se ci siamo soffermati a contemplare così a fondo il misterioso labirinto dei suoi rami da arrivare a trovare tra essi anche le risposte che cercavamo altrove a quelle che sono le altrettanto intricate questioni della nostra esistenza?