Mi piace pensare che il risultato, nella fotografia di natura, sia frutto di due fattori concorrenti: da un lato l’intuizione o immaginazione, che è proiezione di un’idea che nasce nella mente e va cercando nel mondo la sua manifestazione; dall’altro il favore del luogo, che sia una congiunzione fortunata di fattori ambientali o il dono benevolo di un genio invisibile. Solo questa via, a mio avviso, restituisce autenticità all’impulso artistico del fotografo da un lato e all’espressione spontanea del territorio dall’altro.
Oggi che la fotografia di natura è spesso ossessione, ricerca egoica di facile quanto effimero successo basata su inganni e travisamenti, soffiate o sotterfugi, questa via è certamente poco battuta, avara com’è di risultati. Ma è una fotografia che ripaga se stessa, non necessita di ulteriori approvazioni poiché parte dal cuore e a esso ritorna: ha inizio con la scelta di un luogo che sorge nella mente dal nulla, senza un motivo, e poi domanda apertura, completa fiducia e abbandono a ciò che la terra ha deciso di mostrare.
Così capita di ritrovarsi in un luogo, alla fine di un freddo pomeriggio invernale, chiedendosi perché si è scelto di recarsi proprio lì dove nulla sembra destinato ad accadere nei pochi minuti che restano ancora prima che il sole scompaia definitivamente dietro le spoglie chiome dei faggi.
Poi all’improvviso un battito familiare sembra voler rispondere agli interrogativi del cuore: nascosto nell’intrico dei faggi bagnati dalla luce dorata dell’ultimo sole, un picchio dorsobianco è intento alla ricerca di larve sotto la scorza indurita dei tronchi, che salta via in grandi schegge a ogni impetuoso affondo.
Per alcuni minuti ha luogo una concitata ricerca, la sua sagoma appare e scompare tra le chiome, più che gli occhi sono le orecchie a determinarne la posizione, come un fantasma invisibile si fonde completamente sullo sfondo di intrecci di rami e riflessi del sole. Appare un attimo di profilo, si sposta su un altro tronco, riscende poi risale così in alto da costringermi a goffe contorsioni, infine riappare alla vista, forse per pochi istanti ancora.
Quasi senza vedere sollevo l’obiettivo un’ultima volta sopra la testa, tremante mi abbandono e lascio che sia il destino a scrivere questa ultima immagine.