Sotto il cielo dei Pesci l’inverno finalmente si fa liquido, mutevole e scostante. Tra un colpo di coda e l’altro un’aria nuova si insinua, la percepisci con la punta del naso da un refolo di vento, oppure giunge all’orecchio nel canto ostentato di qualche precoce merlo prima che scenda la sera.
Gli alti fusti dei faggi ondeggiano alla brezza scricchiolando, come per rifare il verso all’eco dei picchi che si perde lontano lungo la vallata. Il sole più diretto traccia contorni netti e sull’erta di un crinale si percepisce al meglio questo passaggio obbligato tra l’inverno che lascia e la primavera che ritorna.
In un paesaggio incerto su quale versante volgere, tra le erbette chiazzate di macchie sfolgoranti di neve, d’improvviso appare sull’erta affannato un cervo vegliardo: il palco logoro, quasi smozzicato, pesante ancora troneggia sul suo capo.
Nelle scheggiature, nei graffi, nei monconi c’è scritta tutta la storia del lungo inverno che sta finendo: presto lo offrirà in dono alla saturnia terra, perché un cerchio infine si chiuda. Grato per avere attraversato ancora una volta la stagione più dura e lunga, si libererà di un ultimo peso per offrirsi rinato alle energie nuove della primavera.
Rinascerà presto quel palco, nutrito dalle energie dell’Ariete e del Toro, pronto per l’inizio di un nuovo ciclo, un altro giro nel grande cerchio della vita. Che sia lunga vita al re del bosco!